articolo del Dott. Fabio Bandini - Direttore Struttura Complessa di Neurologia presso ASL 2 Savona
L’emorragia subaracnoidea (ESA), quadro estremamente grave, rappresenta, fortunatamente, solo il 5% di tutti gli ictus. Purtuttavia, nonostante la relativa rarità, i suoi devastanti effetti in termini di mortalità, morbilità e anni di vita perduti sono simili a quelli di alti tipi di ictus, soprattutto a causa della minore età di chi ne è affetto (il picco è tra i 50 e i 60 anni). Una certa percentuale di pazienti, fortunatamente minoritaria, decede prima dell’arrivo in Ospedale e l’ESA è l’unica malattia neurologica in grado di determinare la cosiddetta “morte improvvisa”.
L’ESA è dovuta in più dell’85% dei casi alla rottura di un aneurisma dei vasi cerebrali, mentre in una percentuale del 10% si verifica in sede profonda (perimesencefalica) in assenza di aneurisma. L’ESA perimesencefalica ha una prognosi sicuramente migliore rispetto a quella da rottura di aneurisma.
La sopravvivenza dopo una ESA da rottura di aneurisma cerebrale è fortunatamente incrementata del 17% negli ultimi 20 anni, probabilmente per un miglioramento nella diagnosi, e nelle terapie, in particolare in Terapia Intensiva, ma i sopravvissuti spesso soffrono di deficit cognitivi, di esiti focali (disturbi della motilità, della parola), di alterazioni dell’umore e del sonno, con conseguente scadimento della qualità della vita quotidiana.
I cosiddetti fattori di rischio per la formazione di un aneurisma, per la sua rottura e per l’insorgenza di una ESA sono sostanzialmente sovrapponibili. E’ da segnalare, tuttavia, che gli studi scientifici aventi come oggetto i fattori di rischio hanno prodotto risultati talora contrastanti: i fattori di rischio modificabili per ESA includono il fumo di sigaretta, l’ipertensione arteriosa e l’abuso alcolico (che raddoppiano il rischio di ESA), mentre l’esercizio fisico e il livello di colesterolo sembrano esercitare un qualche effetto protettivo. I fattori di rischio non modificabili includono l’invecchiamento, il sesso femminile, la storia familiare, l’origine etnica giapponese o finnica, la presenza di rene policistico (circa il 10% dei pazienti con rene policistico presenta un aneurisma intracranico), di coartazione aortica e la storia di pregressa ESA.
I più importanti fattori di rischio sulla possibilità di rottura di un aneurisma già noto sono l’ipertensione, l’età, l’origine etnica giapponese o finnica, le dimensioni dell’aneurisma, la sua localizzazione e la sua forma irregolare. I pazienti con una storia familiare di aneurisma possono avere un più elevato rischio di rottura ma tale assunzione è basata su dati limitati.
Una storia familiare di ESA (Intesa come parenti di primo grado) rende conto di circa l’11% delle emorragie, mentre il rene policistico rende conto dello 0.3%. In sintesi, rispetto alla popolazione generale, il rischio di ESA é da 3 a 7 volte superiore in un parente di primo grado, ma non è incrementato in parenti di secondo grado.
Gli aneurismi cerebrali sono lesioni arteriose acquisite che generalmente si sviluppano nelle arterie del cosiddetto Poligono di Willis, un cerchio di arterie connesse tra di loro all’altezza della base cranica. L’origine dell’aneurisma nasce da una degenerazione degli strati che formano la parete arteriosa, a sua volta dovuta ad una serie di fattori. La rottura di un aneurisma provoca un sanguinamento nello spazio subaracnoideo (cioè tra aracnoide e pia madre, le due meningi più interne che avvolgono il cervello), da cui deriva il nome. Il sangue può tuttavia espandersi anche all’interno del cervello e nei ventricoli cerebrali (cavità normalmente presenti all’interno del cervello). Il danno cerebrale causato dall’ESA avviene in due tempi: nella prima fase esso è dovuto all’effetto tossico del sangue nello spazio subaracnoideo e alla distruzione del tessuto cerebrale (se il sangue penetra nel cervello), oltreché all’ischemia cerebrale generalizzata; in una seconda fase, 3-14 giorni dopo l’ESA, il danno può verificarsi a causa dello spasmo delle arterie danneggiate il quale genera una ischemia del tessuto cerebrale situato a valle dello spasmo. Questa ischemia tardiva, che rappresenta una complicanza molto importante (anche perché priva di terapie altamente efficaci), rappresenta la più importante causa di morbilità a lungo termine nei pazienti che sopravvivono ad una ESA. In circa il 20% delle ESA, inoltre, il quadro viene complicato dall’insorgenza di una dilatazione acuta (idrocefalo) delle cavità ventricolari. Anche l’ipertensione endocranica, ossia il patologico aumento della pressione all’interno del cranio (che è una struttura inespansibile) rappresenta una frequente conseguenza dell’ESA, potendo intervenire in più del 50% dei pazienti. Purtroppo, oltre alle complicanze cerebrali appena citate, l’intero organismo della persona affetta da ESA può andare incontro a importanti alterazioni, come l’edema polmonare, le artitmie cardiache, i disturbi elettrolitici.
La diagnosi di ESA si basa generalmente sul sintomo cardine, ossia la “cefalea ad insorgenza improvvisa più violenta mai provata” da una persona. Tale sintomo è presente in circa il 70% dei pazienti con ESA ed è soprattutto localizzato a livello nucale. L’insorgenza improvvisa rappresenta un criterio diagnostico ancora più importante dell’intensità della cefalea stessa. In circa la metà dei casi la cefalea rappresenta l’unico sintomo, mentre nella restante metà sono presenti anche nausea, vomito, alterazioni dello stato di coscienza, deficit neurologici focali (disturbi del linguaggio, deficit di forza), crisi epilettiche (queste ultime nel 5-25% dei pazienti). Secondo alcuni studi, circa il 10% dei pazienti con ESA non ricevono una diagnosi corretta, in particolare quelli con la cefalea come unico sintomo, e ciò rappresenta ovviamente un grave rischio per la vita del paziente.
L’utilizzo delle cosiddette regole di Ottawa per l’ESA può essere di rilevante aiuto diagnostico (con una sensibilità del 100%)
Esistono alcune scale che vengono utilizzate per determinare il grado di severità clinica del paziente, importanti per determinare anche la prognosi del paziente stesso.
La TAC cerebrale senza mezzo di contrasto rappresenta l’esame strumentale di prima scelta in caso di sospetta ESA.
La sensibilità diagnostica della TAC cerebrale é molto elevata, vicina al 100% nelle prime sei ore. Col tempo, tuttavia, la sensibilità scende al 97% nelle prime 72 ore, sino al 50% dopo cinque giorni. La rachicentesi (o puntura lombare) può aiutare nelle diagnosi di ESA dimostrando la presenta di globuli rossi (o xantocromia, cioè colore giallastro) nel liquor cefalorachidiano.
TAC cerebrale e rachicentesi (con esame del liquor) sono complementari nella diagnosi di ESA. In caso di TC negativa, se il sospetto di ESA rimane, è necessario eseguire la rachicentesi. Tra l’altro, i due esami sono complementari anche nel senso della tempistica, in quanto l’esame del liquor diviene positivo dopo alcune ore, proprio nel mentre la sensibilità della TAC tende a diminuire (dopo le 12 ore). Se il sospetto di ESA permanesse dopo TAC ed esame del liquor è necessario allora eseguire una angio-TC cerebrale alla ricerca dell’eventuale aneurisma cerebrale.
Una volta diagnosticata una ESA, è necessario identificare la sede di emorragia. L’angiografia cerebrale è l’esame di prima scelta in questi casi. L’angiografia cerebrale, tuttavia, è un esame invasivo, di lunga durata e non scevro di rischi (3.2% di complicazioni).
Una alternativa affidabile è rappresentata dalla angio-TC cerebrale, che possiede una sensibilità del 97–98%
Il paziente inizialmente necessita di monitoraggio e di eventuale supporto delle funzioni vitali. La prima procedura che va messa in atto è dedicata a proteggere il cervello dal danno iniziale. Le cause principali di decesso precoce sono rappresentate dal danno cerebrale dovuto all’emorragia e dall’eventuale ri-sanguinamento dell’aneurisma, prima che esso venga trattato. Il decesso nei 3-14 giorni successivi all’ESA è generalmente dovuto a ri-sanguinamento, a complicazioni internistiche o a ischemia cerebrale tardiva da vasospasmo. Il ri-sanguinamento è un evento molto grave, con alta mortalità. I fattori di rischio per il ri-sanguinamento sono il grado di gravità del paziente, la grandezza dell’aneurisma e l’ipertensione arteriosa al momento del ricovero. Ciò implica che l’aneurisma debba essere trattato il più velocemente possibile, entro le 72 ore dall’esordio.
Un altro trattamento che é in grado di evitare il ri-sanguinamento é la terapia con farmaci cosiddetti “antifibrinolitici” come l’acido tranexamico.
Le linee-guida statunitensi raccomandano che il paziente venga trattato in Centri attrezzati a curare un alto numero di pazienti, poiché é dimostrato che tale approccio migliora la prognosi dei pazienti. Il trattamento dell’aneurisma viene generalmente effettuato tramite approccio neurochirurgico, con “clippaggio” dell’aneurisma, oppure tramite un approccio endovascolare, con “coiling” dell’aneurisma. La scelta tra i due tipi di trattamento dipende da una serie di fattori come l’età del paziente, le sue condizioni cliniche, le eventuali malattie concomitanti, la sede, la forma e le dimensioni dell’aneurisma, la casistica dell’equipe destinata a trattare il paziente. Nel caso l’aneurisma sia aggredibile in entrambi i modi, è preferibile optare per il trattamento endovascolare.
In caso di idrocefalo acuto è necessario, qualora lo stesso idrocefalo non regredisca spontaneamente (il che accade in circa il 30% dei casi entro 24 ore), inserire da parte del Neurochirurgo, un catetere intraventricolare per drenare l’idrocefalo. Anche la riduzione di una eventuale ipertensione endocranica può contribuire a salvare la vita al paziente e a migliorare la prognosi.
Riguardo alla più temibile complicanza a lungo termine dell’ESA, ossia, l’ischemia cerebrale tardiva da vasospasmo arterioso, l’unica terapia che ha dimostrato di essere parzialmente efficace nel ridurre il rischio di sviluppare ischemia tardiva è il Calcio-antagonista Nimodipina. Le Linee Guida raccomandano di iniziare la terapia orale con nimodipina entro 96 ore dall’insorgenza dell’ESA.
L’ESA può essere ovviamente prevenuta trattando l’aneurisma cerebrale prima della sua rottura, oppure cercando di ridurre la formazione dell’aneurisma stesso. Al fine di giudicare attentamente i rischi della rottura di un aneurisma, paragonandoli con i rischi derivanti dall’intervento neurochirurgico o endovascolare necessario per trattare l’aneurisma, sono stati sviluppati alcuni “Scores” di rischio, di cui il più utilizzato è il “PHASES” [Popolazione, (H)ipertensione arteriosa, (A), (S)Dimensione, (E) precoce ESA, Sede). Un altro Score sviluppato da una commissione di esperti considera il PHASES con l’aggiunta di altri fattori di rischio quali la storia familiare, le comorbidità mediche, l’aspettativa di vita, la crescita dell’aneurisma e/o la formazione di nuovi aneurismi, gli eventuali sintomi associati e il rischio insito nell’intervento chirurgico/endovascolare.
La formazione di nuovi aneurismi in pazienti già affetti da ESA é un fenomeno sempre più riconosciuto e considerato, con un rischio di nuova ESA 22 volte più alto della popolazione generale. Un incremento del rischio di recidiva di ESA è stato evidenziato nei fumatori, con l’aumentare dell’età e con la presenza di aneurismi multipli al momento della prima ESA.
Lo screening alla ricerca di un aneurisma cerebrale, tramite angio-TC o angio-RM cerebrale, è indicato per i familiari di primo grado se il paziente ha due o più familiari di primo grado con aneurisma o ESA. I pazienti con coartazione dell’aorta, rene policistico e gemelli di un gemello affetto da ESA o aneurisma cerebrale debbono effettuare lo screening con un intervallo temporale (arbitrario) di 5 anni. I pazienti che hanno avuto una ESA in età giovanile, in particolare se femmine, fumatori o con aneurismi multipli, debbono essere sottoposti a screening annualmente per 3 anni, riducendo poi la frequenza degli accertamenti se l’aneurisma rimane immodificato in dimensioni e forma