Ictus Cerebrale

Ictus Cerebrale

articolo del Dott. Fabio Bandini - Direttore Struttura Complessa di Neurologia presso ASL 2 Savona


L’ICTUS CEREBRALE

Per dimensioni epidemiologiche e per impatto socio-economico, l’ictus cerebrale (“stroke” nella versione anglosassone) rappresenta uno dei più importanti problemi sanitari nei paesi industrializzati.

In Italia, l’ictus costituisce la prima causa di invalidità permanente, la seconda causa di demenza e la terza causa di morte (o la seconda, come riportano altre stime) dopo le malattie cardiovascolari e le neoplasie, essendo responsabile del 10-12 per cento di tutti i decessi annui. E’ una patologia fortemente correlata all’età: passando infatti dalla quarta all’ottava decade di vita, l’incidenza della malattia aumenta di circa 100 volte. Questo rapporto fa prevedere come l’impatto di questa malattia sia destinato ad aumentare: attualmente, infatti, gli ultrasessantenni in Italia costituiscono il 25% della popolazione totale, mentre gli ultrasessantacinquenni sono il 19%.

Pur avendo, come detto, una maggiore incidenza nell’età senile, l’ictus può tuttavia colpire anche i giovani e, talora, anche i bambini. Circa 10.000 ictus, ogni anno, riguardano soggetti con età inferiore ai 54 anni, quindi in età lavorativa, per i quali l’impatto della malattia, in termini di riduzione dell’autosufficienza e di incidenza dei bisogni assistenziali, risulta particolarmente gravoso, con conseguenze in ambito familiare e sociale estremamente rilevanti.

Nel complesso, il costo medio annuo per ciascun paziente con disabilità grave (circa 400.000 nella sola Italia) a carico di famiglia e collettività – escludendo i costi a carico del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), quantificati ad oggi in circa 3,5 miliardi di euro annui – è di circa 30.000 euro, per un totale di circa 13-14 miliardi di euro per anno. Questa cifra, che rappresenta il 78,8 per cento dei costi totali indotti dalla patologia, si riferisce sia alla riduzione di produttività relativa alla perdita di lavoro dei pazienti che ai costi legati all’assistenza prestata dai familiari; una corretta strategia di prevenzione dell’ictus cerebrale rientra nell’ambito più generale della prevenzione e controllo delle patologie croniche nel loro complesso.

La prevenzione prevede principalmente il controllo dei cosiddetti fattori di rischio modificabili, cioè correggibili apportando modificazioni allo stile di vita oppure assumendo una terapia farmacologica appropriata (essendo quelli non modificabili rappresentati dalla familiarità e dall’invecchiamento). Ciò avviene attraverso la loro diagnosi precoce e la modificazione degli stili di vita. Le politiche che incidono sulla riduzione della mortalità e della morbosità delle malattie cerebrovascolari, devono essere adottate fin dalla giovane età in modo da mantenere nel corso della vita un profilo di rischio favorevole. Alcune azioni, quali abolizione del fumo di sigaretta, controllo della pressione sanguigna, della glicemia e del colesterolo, attività fisica e stili di vita salutari, stanno fortunatamente entrando, seppur lentamene, nella quotidianità di tutti. Particolare attenzione, tra i vari fattori di rischio, andrebbe dedicata ad una particolare aritmia cardiaca, detta fibrillazione atriale (FA), che rappresenta un importante, se non il principale, fattore di rischio di ictus, ma le evidenze scientifiche a livello internazionale indicano che esiste una sottovalutazione dei rischi legati a tale patologia, che si traduce in gravi carenze sia sul piano diagnostico che terapeutico. Chi soffre di FA, infatti, corre un rischio di ictus 4-5 volte maggiore, con esiti particolarmente gravi.

Dal punto di vista terapeutico, importanti novità sono emerse nel trattamento acuto e precoce dell’ictus ischemico (purtroppo per quello emorragico le novità sono ancora di là da venire). Le cosiddette “trombolisi” farmacologica e “trombectomia” meccanica, in diverse migliaia di casi, hanno azzerato o ridotto drasticamente gli effetti invalidanti dell’ictus, a patto che tali terapie vengano prestate nelle primissime ore (4,5 ore) dalla comparsa dei sintomi. Purtroppo, esiste un oggettivo problema di informazione e di difficoltà di accesso a tali nuove terapie, che poi così “nuove” non sono più. Uno studio osservazionale, eseguito in 16 regioni italiane, ha evidenziato che sussiste un tempo eccessivamente lungo tra il momento in cui il paziente si rende conto che «c’è qualcosa che non va» e il momento in cui viene presa la decisione di recarsi in ospedale. Il concetto di «Time is Brain» ha portato al centro della riflessione sull’ictus cerebrale il problema del tempo che intercorre tra l’esordio sintomatologico di un ictus acuto e l’effettivo accesso del paziente alla terapia. Ma proprio in questa fase si presenta uno dei problemi del SSN rispetto alla patologia: in molte regioni italiane non esiste il codice ictus per il trasporto del paziente e quindi il personale del 118, pur riconoscendone i sintomi, è tenuto, in base ai protocolli vigenti, a portare il paziente al pronto soccorso più vicino, anche se non dotato di unità neurovascolare (stroke unit), aggiungendo quindi tempi morti a quelli che già si perdono nel riconoscimento dei sintomi.

Tali carenze sono state fortunatamente recepite anche a livello politico e il Ministero della Salute ha già prodotto atti volti alla migliore gestione dell’ictus cerebrale, sia in senso preventivo che in senso terapeutico.

 

DEFINIZIONE E CLASSIFICAZIONE

L’ictus cerebrale può essere definito come la “comparsa improvvisa di segni e/o sintomi neurologici dovuti a un deficit focale delle funzioni cerebrali da alterazione della circolazione cerebrale”.

Si distinguono classicamente due tipi di ictus: il primo è l’ictus ischemico, dovuto all’occlusione di un vaso arterioso destinato ad irrorare una determinata regione cerebrale, con conseguente arresto dell’afflusso di sangue nella suddetta regione. Il secondo è l’ictus emorragico, dovuto alla rottura della parete di una arteria destinata al cervello e conseguente stravaso di sangue nel cervello (emorragia intraparenchimale) o negli spazi intorno ad esso (emorragia subaracnoidea).

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